mercoledì 17 aprile 2024

Fabolous Stack of Comics: Wolverine - Il Tuo Peggior Nemico


Nello scenario di Krakoa emerso a seguito di House of X/Powers of X, lui non poteva di certo mancare. Stiamo parlando di Wolverine, personaggio mutante tra i più popolari, se non il più popolare, nonché il più riconoscibile dei personaggi Marvel dal pubblico generalista.
Mentre Hugh Jackman si appresta a sfoderare gli artigli un'altra volta, Wolverine - già attivo come componente di X-Force - ha tempo di vivere anche delle avventure in solitaria in una nuova serie regolare iniziata nel 2020. La prima saga di cinque numeri, intitolata Il Tuo Peggior Nemico (Your Own Worst Enemy) è scritta da Benjamin Percy e disegnata da Adam Kubert e Viktor Bogdanovic.
Durante una missione di X-Force, Wolverine entra in contatto con un misterioso polline in grado di creare allucinazioni molto reali e che una setta vuole utilizzare per acquisire poteri mutanti. Dietro questo insolito traffico di stupefacenti vi è un nuovo nemico i cui scopi sono in apparenza insondabili.
Per venire a capo del mistero, in assenza dei suoi compagni di squadra caduti in coma per via del polline, Wolverine deve allearsi con l'agente della CIA Jeff Bannister, che da tempo chiede a Krakoa una cura per la figlia malata.
Successivamente, Wolverine dovrà fare i conti con l'arrivo a Krakoa di un suo vecchio nemico, Omega Red. A tutti i mutanti è concessa ospitalità, anche a lui dunque, nonostante Logan non si fidi affatto. E fa bene, poiché Omega Red si è alleato con la nazione dei vampiri di Dracula per un misterioso obiettivo che vede proprio Wolverine come pedina principale.
In uno scenario davvero corale che più corale non si può come quello di Krakoa, risulta difficile incentrare una serie su un singolo personaggio. Difficile, ma non impossibile, visto che ci siamo già imbattuti nella testata di Cable.
Wolverine crede molto nel sogno di Xavier, ma al tempo stesso è un guerriero che ama agire in solitario portando avanti un suo personale concetto di giustizia, il quale adesso è in contrasto coi dettami del Consiglio dell'isola.
Ci troviamo dunque di fronte a un antieroe che sembra infine veder realizzato il sogno di integrazione per cui si è speso in prima persona negli anni precedenti, ma al tempo stesso desidera ancora battersi contro quelle minacce che mettono in pericolo quel sogno.
Con le trame principali indirizzate altrove, ci si concentra su alcuni aspetti del mondo mutante, in particolar modo quelli riguardanti Wolverine, creando in queste prime storie sia un nuovo avversario che riportando sulla scena uno dei suoi nemici storici.
Quindi trame incentrate molto sull'azione, poco sull'introspezione - diciamo quel tanto che basta in un'occasione del genere - e le consuete artigliate che ristabiliscono l'ordine. Per il momento è più che sufficiente.

martedì 16 aprile 2024

Prime Video Original 89: Road House


Nel 1989, esce Il Duro del Road House, epitome di una certa tipologia di film d'azione predominanti in quel decennio, e che tuttavia si distingueva per la profonda umanità del protagonista, interpretato da Patrick Swayze.
Per uno di quegli strani scherzi del destino, questo film negli anni ha conseguito una sorta di status di culto - forse anche per via della prematura scomparsa dell'attore - venendo apprezzato da più generazioni e continuando a essere lodato.
E sapete come funziona il cinema, a volte. Se un prodotto funziona, perché non rifarlo? Ecco dunque Road House, diretto da Doug Liman, scritto da Anthony Bagarozzi, Charles Mondry e David Lee Henry e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 21 marzo 2024.
Elwood Dalton (Jake Gyllenhaal) è un ex lottatore della UFC caduto in disgrazia, che si guadagna da vivere combattendo nei circuiti clandestini. Un giorno viene contattato da Frankie (Jessica Williams), un'imprenditrice della Florida che vuole assumerlo come buttafuori del suo road house, il quale è frequentato in parte da gente poco raccomandabile.
Dopo qualche esitazione Dalton accetta, ma ben presto si ritrova di fronte a qualcosa di non previsto. Il Road House, infatti, è nel mirino per qualche misterioso motivo di Ben Brandt (Billy Magnussen), uno spietato criminale che naviga nel lusso. Ma il nemico più insidioso per Edwood Dalton potrebbe rivelarsi il suo insidioso passato.
Un remake di solito si pone l'obiettivo di riprendere il film originario e attualizzarlo, considerato che nel mentre qualche anno o decennio sono passati. E sì, di certo il 2024 è molto differente rispetto al 1989, anche solo per la concezione di eroe cinematografico, da cui pure il personaggio interpretato da Patrick Swayze cercava in parte di distaccarsi.
Lo scheletro della trama originaria viene ovviamente ripreso (l'eroe contro il criminale e il suo sanguinario scagnozzo, la storia d'amore con una dottoressa, gli interessi economici che circondano il Road House), ma partendo da queste basi si cerca anche di costruire qualcosa di diverso.
A partire dalle ambientazioni. La pellicola originaria era ambientata principalmente di notte, nel Missouri popolato da "bifolchi", a sottolineare una certa oscurità della trama di fondo. Il remake invece si svolge nell'assolata Florida e la maggior parte delle scene, quasi tutti i combattimenti in particolar modo, avvengono di giorno, come a voler sottolineare un tono più leggero rispetto al passato.
Anche i protagonisti secondari, a partire dai villains, sono abbastanza fuori di testa, forse perché replicare Ben Gazzara in chiave seria oggi non funzionerebbe.
Il protagonista, invece? A mio avviso Jake Gyllenhaal non ha attualizzato il Dalton di Patrick Swayze, bensì ha cercato di fornire un'interpretazione aggiornata, e un po' più light, del suo stesso personaggio di Southpaw: L'Ultima Sfida. Diviso tra il tormento per alcuni eventi del passato e il desiderio di trovare una nuova strada, ma con un lato oscuro pronto a emergere e a seminare il caos.
Una personalità così preminente da offuscare tutte le altre, mentre nel film originario vi era un po' di spazio anche per gli altri protagonisti, nonostante la personalità imponente di Patrick Swayze.
Quindi chi volesse guardare questo remake nella speranza di ritrovarci le atmosfere de Il Duro del Road House resterà deluso. Questo è un film per il pubblico "moderno" (qualsiasi cosa voglia dire) e che il passato lo tratta solo in termini di rispetto. Ma questo è appunto passato.

lunedì 15 aprile 2024

Disney+ Original 24: Chang a Canestro


Lo sport - e i film sugli sport - si rivela spesso un argomento perfetto per narrare storie di integrazione e accettazione. Dopotutto, se uno è bravo da un punto di vista atletico, quale importanza possono avere il suo credo religioso o la sua provenienza?
Storie di integrazione di campioni sportivi si sono viste anche in Italia, neanche a dire nel calcio che è lo sport più popolare da sempre, ma anche nell'atletica o nella pallavolo. Negli Stati Uniti, invece, che rappresentano un crogiolo di culture, vi sono varie altre discipline che catturano l'attenzione del pubblico, come il football... o il basket.
E il basket e la sua capacità di far realizzare certi sogni sono oggetto del film Chang a Canestro (Chang Can Dunk), scritto e diretto da Jingyi Shao e distribuito su Disney+ a partire dal 10 marzo 2023.
Chang (Bloom Li) è un sedicenne, immigrato di seconda generazione, fan di Kobe Bryant e appassionato di musica. Durante le lezioni di ginnastica viene continuamente prevaricato dal coetaneo Matt (Chase Liefeld), più forte e abile atleticamente.
Le cose si complicano in maniera ulteriore con l'arrivo nella scuola di Kristy (Zoe Renee), una ragazza da cui Chang rimane subito affascinato. Per dimostrare di valere qualcosa agli occhi della gente, Chang scommette con Matt che in poche settimane sarà in grado di effettuare una schiacciata a canestro.
Ora però il ragazzo, che è alto neanche un metro e settanta, deve trovare un modo per vincere questa scommessa, da cui dipende anche il suo futuro.
Ormai anche in Italia è ben presente una fascia di popolazione nota come immigrati di seconda generazione (anche di terza, a dire il vero). Ovvero ragazzi figli di immigrati ma nati su territorio italiano. Che dunque parlano italiano in maniera fluente, studiano in scuole italiane e, una volta entrati nel mondo del lavoro, pagano le tasse in Italia.
Un fenomeno ben presente anche negli Stati Uniti, che in questi ultimi anni hanno visto arrivare flussi di immigrazione differenti dal passato e che coincidono coi nostri, ovvero di persone provenienti dai paesi orientali, i quali hanno una cultura differente e si devono ambientare in una società con le proprie regole e consuetudini.
Regole e consuetudini che non si applicano talvolta ai loro figli, poiché nascono circondati da esse. Nonostante questo, alcuni devono lottare - in una società spesso ottusa e conservatrice - per farsi accettare.
E la storia di Chang alla fine è proprio questo: il più classico dei racconti di integrazione, di un ragazzo che è escluso da una certa parte della scuola da lui frequentata e al tempo stesso accettato per quello che è da un'altra parte, composta perlopiù di reietti come lui.
La sfida che lui lancia diventa dunque una (evidente) metafora di come per fare parte di quella parte che non lo accetta occorra rispettare certi standard - e per una volta la provenienza o il colore della pelle contano davvero poco - e adeguarsi, come diceva il Principe.
Ma sarà davvero questo il modo migliore per integrarsi? O forse Chang ha già a disposizione tutti gli strumenti per conseguire la propria felicità? La risposta arriverà coi dolori della crescita e il confronto coi suoi coetanei e con la madre, nata in Giappone.
Poiché l'accettazione degli altri passa anche dall'accettazione di sé stessi.

domenica 14 aprile 2024

A scuola di cinema: Mosca a New York (1984)

1905: Da un treno in movimento salta una persona, seppur questo possa costargli la vita. Costui, originario di Kiev, è un soldato dell'esercito russo, il quale è insofferente rispetto all'autoritario regime zarista. Con molte difficoltà, il soldato si imbarca su una nave, diretta verso gli Stati Uniti. Su questa stessa nave incontra la futura moglie.
Giunta negli Stati Uniti, la coppia riesce a costruirsi una nuova vita e i due coniugi hanno dei figli, i quali a loro volta si creano una famiglia e hanno dei figli. Uno di questi è il futuro regista Paul Mazursky, che dalla storia di suo nonno e della sua famiglia molti anni dopo trae spunto per una pellicola.


Dopo aver lavorato con profitto, insieme allo sceneggiatore Leon Capetanos, per il film Tempesta (Tempest), Paul Mazursky decide di rinnovare la collaborazione con lui prendendo come riferimento - partendo dalle esperienze del nonno - le storie di immigrazione del popolo russo.
Il completamento della sceneggiatura si rivela lungo e laborioso e va avanti per quasi un anno, poiché i due autori decidono di portare avanti un importante lavoro di indagine e ricerca sul campo, intervistando molti immigrati russi che vivono a New York e Los Angeles.
Dopo il completamento della prima bozza, Paul Mazursky e Leon Capetanos visitano per tre settimane circa le città russe di Kiev, Mosca e San Pietroburgo, dove intervistano alcuni residenti del luogo, scoprendo che costoro, anche se potessero andarsene dal paese e questo migliorerebbe la loro vita, si lascerebbero comunque alle spalle qualcosa di importante per la loro esistenza, inoltre sarebbero costretti ad abbandonare la loro famiglia.
La sceneggiatura viene infine opzionata dalla Columbia Pictures, mentre nel frattempo Paul Mazursky cerca un attore adatto che possa interpretare il personaggio principale, Vladimir Ivanov. La sua scelta ricade infine su Robin Williams, per la sua capacità di essere sempre in bilico tra ironia e dramma e di passare dall'una all'altro con abilità e semplicità.
Nei mesi che rimangono prima dell'inizio delle riprese, per prepararsi al meglio alla parte, l'attore studia le consuetudini dell'allora Unione Sovietica, comincia a prendere lezioni di russo da un attore madrelingua e al contempo anche delle lezioni di musica per imparare a suonare il sassofono, caratteristica del suo personaggio.
La dedizione di Robin Williams nel padroneggiare come suonare questo strumento musicale si rivela aldilà delle aspettative, tanto che il suo insegnante afferma infine che in pochi mesi ha raggiunto un livello di abilità che di solito chiunque altro raggiunge in due anni.
Anche la padronanza della lingua russa, con lezioni giornaliere di cinque ore, arriva a un buon livello, tanto che alla fine l'attore è in grado, oltre che a non far sentire troppo il proprio accento americano, di intrattenere una conversazione con gli attori russi presenti sul set.
Le riprese iniziano in via ufficiale l'undici luglio 1983.
Come noto all'epoca era praticamente impossibile ottenere un autorizzazione dalle autorità russe per girare in loco, ancor più se si trattava di una produzione americana.
Dopo aver ispezionato alcune città, tra cui Stoccolma, Vienna ed Helsinki, Paul Mazursky decide che la migliore location per le riprese ambientate in Russia sia Monaco di Baviera, dove peraltro vivono molti russi e dove è presente uno studio cinematografico - Bavaria Studios- nel quale si possono ricreare le strade di Mosca durante il periodo invernale senza dover chiedere lunghe e burocratiche autorizzazioni per scene in esterno.
Dopo circa un mese di riprese, la troupe si trasferisce a New York, per continuare e concludere la lavorazione.
Nell'intento di dare maggiore autenticità alla pellicola, il regista Paul Mazursky decide di utilizzare, come comparse o per dei ruoli secondari, attori di nazionalità russa, che vengono trovati tramite apposite agenzie di casting o inserendo degli annunci su quotidiani in lingua russa presenti nelle città di Monaco e New York.
Tra questi attori vi è Saveliy Kramarov, che in una sorta di esempio di realtà che imita l'arte aveva defezionato dall'Unione Sovietica, rinunciando a una brillante carriera cinematografica in madrepatria in cambio di una nuova vita e libertà religiosa.
Anche negli Stati Uniti, tuttavia, Saveliy Kramarov ha la possibilità di continuare a recitare e questo film rappresenta la sua prima produzione americana (ironicamente, interpreta la parte di un agente del KBG, i servizi segreti dell'allora Unione Sovietica), e altre ne seguiranno negli anni successivi.
Mosca a New York (Moscow on the Hudson) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 6 aprile 1984. A fronte di un budget di 13 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare 25 milioni di dollari.
C'è qualcuno che non è molto felice di questo e non per motivazioni prettamente cinematografiche. Si tratta dell'artista Saul Steinberg. Costui, notando il poster che accompagna l'uscita del film, dove è presente una vista dall'alto della città di New York, cita in giudizio la produzione, affermando che tale poster ha copiato una sua illustrazione pubblicata sulla copertina della rivista New Yorker nel marzo 1976, View of the World from 9th Avenue.
Nel 1987 un tribunale di New York si pronuncia infine in favore del querelante, poiché anche a un primo sguardo di un non esperto si possono notare delle similarità, e per questo a Saul Steinberg viene concesso un risarcimento.
Alcuni anni dopo, Paul Mazursky concepisce l'idea per un sequel, intitolato Moscow on the Rocks, di cui arriva a scrivere anche la sceneggiatura. In questo seguito il protagonista è ancora Vladimir Ivanov, ora divenuto un importante ma al tempo stesso spietato uomo d'affari, che utilizza perlopiù manodopera a basso costo composta da immigrati.
La situazione cambia quando Vladimir ritorna in Russia, in uno scenario politico diverso da quello che aveva lasciato, per festeggiare il matrimonio di sua sorella e al tempo stesso innamorarsi di una dottoressa del posto.
Per anni il regista cerca di farsi dare il via libera per questo progetto ma, unito al fatto che nel frattempo Robin Williams è divenuto una star di primo piano ed è molto più richiesto rispetto al passato, esso non va mai in porto. Ogni residua possibilità svanisce infine con la scomparsa sia di Paul Mazursky che di Robin Williams, avvenute ironicamente nello stesso anno, il 2014.
E questa è la fine della storia.

sabato 13 aprile 2024

A scuola di cinema: American Gigolò (1980)

1976: Mentre sta tenendo lezioni di sceneggiatura presso l'aula di cinema della UCLA (University of California, Los Angeles), lo scrittore Paul Schrader tenta di dare alcuni input agli studenti in merito alle professioni dei protagonisti dei film.
Nel corso di queste lezioni, Paul Schrader rimane intrigato dall'idea di una figura maschile che si guadagni da vivere come Gigolò, definendolo un "American Gigolo". Così intrigato da scriverne infine una sceneggiatura, nello stesso anno in cui esce nelle sale cinematografiche un altro film da lui ideato e del tutto diverso, Taxi Driver. Questo rappresenta il primo passo verso la produzione di una celebre pellicola.


Poco meno di due anni dopo, la sceneggiatura di Paul Schrader viene opzionata dalla Paramount Pictures. Nel gennaio del 1978 viene trovato e messo sotto contratto l'attore protagonista, John Travolta, per il ruolo principale di Julian Kay, dietro un compenso di due milioni di dollari. All'epoca John Travolta è sulla cresta dell'onda grazie al successo de La Febbre del Sabato Sera (Saturday Night Fever), prodotto sempre dalla Paramount.
La partecipazione di John Travolta al progetto non si limita solo alla firma del contratto. L'attore, infatti, si reca a Milano, dove lo stilista Giorgio Armani prepara per lui circa 30 vestiti modellati sulla sua figura, da utilizzare durante le riprese. Sfruttando uno di questi vestiti, John Travolta compare in un annuncio pubblicitario sulla rivista Variety per annunciare la sua futura partecipazione al film.
Le cose, però, precipitano in maniera rapida. In quello stesso anno, Helen Cecilia Burke, la madre dell'attore, muore e il padre Salvatore si ammala in maniera grave. John Travolta rimane accanto alla sua famiglia e così l'inizio delle riprese, previsto per il 1978, viene spostato all'inizio dell'anno successivo.
Qualche tempo dopo, però, John Travolta chiede di poter avere la parola decisiva sul montaggio finale, ma Paul Schrader non è molto accondiscendente al riguardo. A chiudere la questione, alla fine dell'anno esce il film Attimo per Attimo (Moment by Moment), il quale si basa su un presupposto della sceneggiatura di Paul Schrader, ovvero la relazione tra un uomo giovane e una donna matura. Un film che si rivela un tremendo flop.
Temendo che un simile destino possa capitargli ancora, John Travolta si ritira dunque dal progetto, ma decide di tenere per sé l'intero set di vestiti preparato da Giorgio Armani, anche perché concepito esclusivamente su di lui.
Dovendo trovare un sostituto in tempi rapidi, la Paramount offre la parte e un compenso di un milione di dollari a Christopher Reeve, ma l'attore ritiene che non ci sia il tempo necessario per prepararsi in maniera adeguata e decide dunque di rinunciare.
A quel punto la produzione si rivolge a quella che era la prima scelta di Paul Schrader, ovvero Richard Gere. Costui all'epoca ha già qualche film all'attivo, ma non è ancora una star di successo come John Travolta o Christopher Reeve.
Questo permette alla Paramount di offrirgli un ingaggio di soli 350.000 dollari, più una percentuale degli incassi della pellicola. Intrigato dal personaggio e dalla sceneggiatura, Richard Gere accetta comunque la parte, nonostante abbia solo due settimane di tempo per prepararsi.
Il lungo processo di casting del protagonista ha effetti anche sull'assegnazione del ruolo della protagonista femminile, Michelle Stratton. In principio, infatti, la parte viene proposta a Jessica Lange, che ritiene tuttavia la trama troppo cupa. Viene messa dunque sotto contratto Julie Christie ma, a seguito dei ritardi nella produzione, viene tenuta un'audizione a Glenn Close.
Al suo arrivo l'attrice trova otto persone sedute attorno a un tavolo e John Travolta sdraiato su un letto. Glenn Close non ricorda le battute che deve pronunciare, così come Travolta del resto, ma questo a quanto pare non è l'obiettivo principale dell'audizione, che vuole vedere se possa scattare una chimica lavorativa tra i due protagonisti e se l'attrice sia in grado di essere seducente. L'esperienza si rivela per Glenn Close, infine, decisamente umiliante.
Si opta infine, dopo l'abbandono di John Travolta, per un'altra scelta di Paul Schrader, ovvero Lauren Hutton.
Per rientrare dalle spese già sostenute e in virtù del fatto che al film non partecipano più attori di rilievo, la Paramount prende la decisione di quasi dimezzare il budget originario.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 13 febbraio 1979, tenendosi a Los Angeles, Malibu e Beverly Hills, per concludersi a metà aprile del 1979.
American Gigolò (American Gigolo) viene distribuito nei cinema americani a partire dal primo febbraio 1980. A fronte di un budget di poco inferiore a 5 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale oltre 52 milioni di dollari.
Al successo del film contribuisce anche la colonna sonora, composta da Giorgio Moroder, e in particolar modo la canzone Call Me, concepita dallo stesso Moroder in collaborazione con la cantante Debbie Harry, del gruppo Blondie. Questa canzone diviene in breve tempo una hit internazionale.
La pellicola diventa anche una sorta di product placement involontario per la casa di moda guidata da Giorgio Armani, il quale ha fornito un nuovo set di vestiti per Richard Gere, ma che è uno stilista a quel tempo poco noto negli Stati Uniti, contribuendo così alla diffusione del suo marchio anche in questa nazione.
Oltre quarant'anni dopo l'uscita del film, nel 2022, American Gigolò ritorna sotto forma di una serie televisiva prodotta da Jerry Bruckheimer, il produttore del film stesso, la quale viene trasmessa sulla rete Showtime, con Jon Bernthal e Gretchen Mol nei ruoli che furono di Richard Gere e Lauren Hutton.
La serie si pone come un vero e proprio sequel della pellicola, ambientato circa 15 anni dopo, che vede Julian Kay tentare di riprendere i rapporti con Michelle Stratton cercando al contempo di trovare il proprio posto in una Los Angeles molto diversa da quella a cui era abituato e dove il sesso è divenuto una vera e propria industria.
La serie incontra molte difficoltà, incluso il licenziamento dello showrunner David Hollander, e viene cancellata dopo una sola stagione composta da otto episodi.
La carriera di Richard Gere, invece, a seguito di questa pellicola, decolla permettendogli di divenire una star di primo piano. Un successo che viene confermato dal film successivo, Ufficiale e Gentiluomo (An Officer and a Gentleman)... ma questa è un'altra storia.

venerdì 12 aprile 2024

Fabolous Stack of Comics: Fear Agent - Me Contro Me


Stiamo per giungere alla stretta finale della serie Fear Agent. Dopo i travagli che il martoriato protagonista, Heath Huston, ha dovuto affrontare, è tempo che si prenda la sua rivincita sugli eserciti alieni dei Dresseniani e dei Tetaldiani, che hanno devastato la Terra e distrutto la sua esistenza.
Nella saga precedente, Colpo Basso, Heath Huston stava passando al solito dei grossi guai. Mentre Mara trovava la sua fine in un atto di vendetta non portato a termine, l'ultimo dei Fear Agent finiva prigioniero in un arena di gladiatori, salvo poi precipitare in un portale dimensionale, verso morte certa... apparente.
Così non è, infatti, e Heath Huston ricompare nella penultima saga Me Contro Me (I Against I), scritta da Rick Remender e disegnata da Tony Moore.
Fuoriuscito dal portale dimensionale ancora miracolosamente vivo, Heath Huston si ritrova catapultato su un altro pianeta, dove è presente una città che sembra fuoriuscita da un film western classico e dove predominano gli antichi valori religiosi e uno stile di  vita puritano. Qui ritrova la moglie Charlotte, sopravvissuta anche lei a un attacco dei Tetaldiani.
La città, tuttavia, di pacifico e tranquillo non ha proprio nulla. Vi è una spietata forza di polizia che la sorveglia e la tormenta: e a capo di essa vi è una vecchia conoscenza di Heath Huston. Qualcuno che lui conosce come le sue tasche.
Nella vita di un alcolista incallito giunge prima o poi il momento in cui si tocca il fondo. E a quel punto ci sono due strade: continuare a rimanere sul fondo e lasciarsi andare, oppure trovare il modo di reagire e risalire. Si dice spesso che solo quando tocchi il fondo comprendi la gravità dei tuoi errori e puoi provare a rimediare.
Questo è sicuramente vero per Heath Huston. Dopo le prime due saghe in cui appariva come una sorta di tragica vittima delle circostanze e le saghe più recenti che ci hanno mostrato invece i suoi lati più oscuri, questo personaggio aveva toccato il fondo.
Per via di quello che ha passato, ma anche per via del fatto che ha scoperto di avere ancora qualcosa per cui vivere (la ritrovata moglie, una figlia), a partire da questo penultimo ciclo - meglio tardi che mai, dopotutto - il protagonista comincia la sua decisa risalita dal baratro.
Ammette dunque gli errori del proprio passato, guardandosi metaforicamente allo specchio, e inizia a combattere per garantire un futuro ai propri cari e all'umanità tutta, abbandonando al contempo i suoi vizi deleteri.
E quale modo migliore di dimostrarlo se non affrontando una sua versione spietata e corrotta? L'Heath Huston malvagio che compare in questo ciclo è come avrebbe potuto diventare il protagonista se avesse proseguito nella sua parabola distruttiva. Il fatto che si confronti letteralmente col suo peggior incubo, ovvero sé stesso, lo mette di fronte alle proprie fragilità e gli fornisce allo stesso tempo quella spinta morale che lo instrada verso un nuovo percorso.
Mr. Hyde che si trova dunque di nuovo di fronte al Dr. Jekyll, solo che stavolta c'è in gioco il destino di un intero pianeta. Anzi, svariati pianeti. Ma la semplice forza di volontà sarà sufficiente? Solo l'ultimo ciclo potrà darci la risposta.